Non sono una purista della musica, non lo sono mai stata.
Il jazz l’ho scoperto che ero già grandicella – il jazz, la fusion, Jaco e soci.
Tutto quello che c’è stato prima, nel bene e nel male, resta nel mio dna e influenza il mio modo di suonare, che non saprei definire se non con le parole «punk jazz».
Nelle parole «tutto quello che c’è stato prima» c’è veramente di tutto: il liscio che ascoltavo da piccola in casa (bontà di mia mamma…), i Beatles che ho scoperto per caso a 14 anni, i Nirvana, gli Earth Wind And Fire, il California Guitar Trio (e Robert Fripp, ovviamente), David Sylvian, i Take That e le Spice Girls, Stevie Wonder, Michael Jackson, George Michael, Yngwie Malmsteen, Steve Vai, gli Iron Maiden, i Dokken, Ritchie Blackmore, i Deep Purple, i Simply Red, i Sex Pistols. Ma anche cose assurde come gli Eiffel 65, o personaggi improbabili come Boy George.
Mi fermo perché l’elenco potrebbe essere infinito.
Così, quando mi capita di sentire un brano come Say So di Doja Cat, l’istinto è quello di prendere il basso elettrico e suonarci sopra, perché alla fine è una cosa che mi appartiene e che mi attrae come una calamita.
Nel mio canale YouTube ho caricato pochi giorni fa due versioni di Say So: una fedele all’originale, l’altra presa da un live e fatta in versione simil-orchestrale. Il giro di basso è sempre quello, a parte un paio di interventi che rientrano nell’arrangiamento della seconda versione.
Il brano è molto semplice: si basa su un giro di quattro accordi sia nella strofa che nel ritornello: E-7 A7 Dmaj7 Dmaj7 (che si alterna con B7, dominante di E-7, ogni 8 battute).
La parte di basso che suono non è fedele all’originale: ho messo un paio di variazioni per renderla più funk e più divertente da suonare.
Spero che vi piaccia e che vi dia lo stimolo per suonarla, che siate bassisti o meno.